#CAMBIAMOSTILE

Distrugge il clima.
Devasta i terreni.
Inquina le acque.

La fast fashion non è un affare per nessuno.
È ora di dire basta.

 

Firma anche tu per dare forza e voce alle nostre richieste al Governo italiano.

È tempo di guardare allo specchio. Per agire.

L’impatto che la “moda veloce” sta avendo sull’ambiente, dalla produzione allo smaltimento dei rifiuti tessili, è ormai devastante e documentato. Così come le condizioni cui spesso sono costretti tanti, troppi, lavoratori del settore (soprattutto in determinati Paesi del mondo).

Il vero prezzo di un capo venduto a una manciata di euro lo paghiamo sulla nostra pelle: è la distruzione dell’ambiente!

#CambiamoStile.

Acque sprecate.

La produzione tessile ha bisogno di acqua. Molto acqua. Secondo i dati raccolti dall’Ue, si stima che l'industria tessile e dell'abbigliamento abbia utilizzato a livello globale 79 miliardi di metri cubi di acqua (dati 2015). Stime sicuramente destinate ad aumentare vista la richiesta costante. Nel 2020, il settore tessile è stato la terza fonte di degrado delle risorse idriche. 

E acque inquinate.

Non solo stiamo prosciugando le risorse idriche, ma le stiamo inquinando.  Secondo la Norwegian environment agency le emissioni di microplastiche nelle acque derivate dal lavaggio di indumenti supera quello dei cosmetici, costituendo il 35% di tutte le microplastiche in acqua. In pratica un unico carico di bucato di abbigliamento in poliestere può comportare il rilascio di 700mila fibre di microplastica che possono finire nella catena alimentare.  Senza contare altri fattori di inquinamento delle acque come la tintura e la finitura con impatti devastanti sulla salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi dove si trovano le fabbriche. 

Suolo e biodiversità a rischio.

Per rispondere alla domanda sempre più alta di abbigliamento a basso prezzo si produce troppo cotone, la cui coltivazione è una delle attività connesse alla moda meno sostenibili.   Il cotone è la seconda fibra più comune al mondo e la sua coltivazione è una delle attività connesse alla moda meno sostenibili. Non solo per la quantità d’acqua necessaria (5mila litri per ogni chilogrammo di materiale), ma per l’uso di pesticidi (il 16% di tutti quelli usati in agricoltura a livello globale) e insetticidi. L’impiego di pesticidi non caratterizza, infatti, solo il food system, ma anche la produzione di tessuti. Per non parlare dell’ampia diffusione di semi geneticamente modificati, che nel 2018 sono arrivati a coprire il 94% della superficie dedicata alla coltivazione del Gossypium hirsutum, la specie coltivata di cotone più diffusa al mondo.

Stiamo distruggendo il clima.

Dalla produzione al trasporto a pagarne le spese è il clima: il 10% delle emissioni di gas serra è causato dalle industrie di abbigliamento, più di tutti i voli internazionali e del trasporto marittimo messi insieme. Secondo l'Agenzia europea dell'ambiente, gli acquisti di prodotti tessili nell’intera Unione europea hanno generato circa 270 kg di emissioni di CO2 per persona (dato 2020).  Discorso a parte merita il solo settore dei trasporti. I camion che trasportano i nostri pacchi verso magazzini o depositi in tutta Europa solo in questi giorni di shopping sfrenato sono la causa di emissione di 600mila tonnellate di CO2 in più rispetto a una settimana media stando a calcoli fatti da Transport & Environment.

Le nostre richieste al Governo italiano

  • Vogliamo disincentivare la fast fashion e favorire l’eco-design, nuovi modelli aziendali per rendere gli abiti più durevoli, riutilizzabili e più facili da riciclare.

  • Bisogna attuare un sistema di controllo per la responsabilità estesa del produttore, affinchè si assumano la responsabilità sui loro prodotti lungo l’intera catena del valore, compresa la fase in cui diventano rifiuti.
  • È necessario attuare il passaporto digitale dei prodotti, con sistemi di etichettatura che riportino informazioni più chiare e codificate per aiutare i consumatori a scegliere prodotti tessili sostenibili lungo tutta la filiera.