Condividiamo la necessità di digitalizzazione del nostro Paese: l’emergenza Covid-19 ha fatto emergere con forza il problema cronico dell'Italia legato al cosiddetto digital divide. Criticità che ha messo a dura prova la possibilità di accesso ai servizi telematici in molte parti del Paese, a partire dal mondo della scuola e del lavoro, mettendo in evidenza disuguaglianze tra territori e persone che rischiano di diventare incolmabili.
La diffusione della banda ultralarga su tutto il territorio nazionale, sia con la fibra che con il 5G, è fondamentale per colmare questa lacuna intollerabile, ma questo deve avvenire senza alcuna modifica della Legge Quadro 36/2001 sui limiti di esposizione e di attenzione cautelativi di fronte ai rischi sanitari che invece interverrebbero con un loro aumento.
Hanno già aderito al nostro appello:
- Stefano Ciafani, presidente di Legambiente
- Pietro Comba, Collegium Ramazzini
- Fiorella Belpoggi, direttrice Istituto Ramazzini
- Roberto Romizi, presidente ISDE
- Rosalba Giugni, presidente di Marevivo
- Fausto Bersani Greggio, fisico e consulente della Federconsumatori della Provincia di Rimini, comitato scientifico ISDE Italia
Petizione al Governo e al Parlamento italiano
Con lo sviluppo del 5G verrà a modificarsi il livello di esposizione complessivo della popolazione, per questo risulta di fondamentale importanza adottare un approccio fortemente cautelativo, in linea con quanto messo in evidenza dalla ricerca scientifica.
L'applicazione del principio di precauzione - al quale si richiamano esplicitamente sia l’Agenzia Europea per l’Ambiente di Copenaghen, sia il Centro Europeo Ambiente e Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di Bonn - prevede di non differire le misure di riduzione dell’esposizione umana fino al completamento di nuovi studi e ricerche che riducano le attuali incertezze e lacune delle conoscenze. Il che si traduce nella necessità - in attesa di nuove ricerche per colmare queste lacune - di perseguire da subito la riduzione delle esposizioni, da una parte mantenendo gli attuali i limiti di legge italiani, tra i più bassi in Europa, e dall’altra rendendo omogenei i livelli di esposizione nel territorio, evitando che gruppi di residenti in determinate aree siano soggetti a livelli di esposizione elevati, attraverso una corretta pianificazione delle stazioni radio base con appositi regolamenti comunali.
La Monografia 102 del 2013 dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) di Lione definisce i campi elettromagnetici a radiofrequenza come “possibilmente cancerogeni per l’uomo” sulla base di una corposa serie di studi sul rischio di tumore cerebrale per gli utilizzatori di telefoni cellulari, ritenendo “credibile” questa relazione di causa e effetto, senza escludere però il ruolo di spiegazioni alternative. Dopo questo lavoro sono stati condotti numerosi studi, tra cui i due recenti relativi a esperimenti su animali di laboratorio, svolti dal National Toxicology Program negli USA e dall'Istituto Ramazzini di Bologna hanno mostrato eccessi di rischio per i tumori del sistema nervoso a livello cerebrale e cardiaco per livelli di campi elettromagnetici “elevati”, da qui la necessità esplicitata dalla IARC di una nuova valutazione del rischio di cancro associato ai campi elettromagnetici a radiofrequenza, posta come priorità per il 2020-24.
In particolare, i ricercatori dell’Istituto Ramazzini hanno presentato i risultati della sperimentazione animale, che prende in esame lo standard 3G, da loro condotta, con risultati congruenti con quelli dello studio del National Toxicology Program (NTP), che mostrano criticità ad alte esposizioni (50 V/m), comparabili a quelle permesse nei Paesi Europei, per un elevato numero di ore al giorno (19 ore). A questi studi si devono aggiungere quelli più noti sull’uso dei cellullari.